Non usate Google se siete una ONG

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Sono sempre molto restio a parlare di Google sul blog, soprattutto perché è noto come le mie opinioni siano di parte.
Continuo a pensare che il *”do no evil”* del loro motto sia in realtà una ipocrita dichiarazione che li obbliga solamente a non essere quelli che si ritrovano con la pistola in mano nel momento dell’omicidio. Nessuno però li costringe a non guardare dall’altra parte mentre le cose accadono. Vi è una profonda diversità etica tra *”do no evil”* e *’do only good’*, rappresentata principalmente dalla possibilità etica di trincerarsi dietro ad un “me lo ha detto lui” non meglio definito.

Il discorso predata sicuramente questo post: ricordo ancora la data del 10 dicembre del 2009 quando presso ISOLE di Reti in Via del Plebiscito 102 a Roma (esattamente sopra gli uffici del premier) Google organizzò un seminario di formazione all’uso dei servizi di Google riservato alle Associazioni per la tutela dei minori.  A parlare quel giorno Chiara de Servi, Gaetano Gargiulo, e Marco Pancini, che illustravano *”una serie di esempi pratici dell’utilizzo dei Google tools per potenziare la comunicazione online esterna ed interna delle Associazioni per la tutela dei minori”*.

Proprio in quella sede nelle domande finali (partecipavo come consulente di [Telefono Arcobaleno][telarco]) la mia domanda a Pancini era stata abbastanza diretta *”Come vi relazionate con Patriot Act ed Electronic Communications Privacy Act?”*. La risposta del buon Marco Pancini, evasiva come la sua carica sempre lo obbliga a fare nonostante sia una ottima persona e sia estremamente competente, era stata la solita da “manuale delle PR di Google” e cioè *”Google rispetta la legge degli stati in cui opera”*. Ok, daccordo.
Ma, e sottolineo **ma**, si era dimenticato un piccolo dettaglio: la legge in cui opera NON è quella italiana ed europea e, quindi, i diritti di questo lato dell’oceano non hanno valore per il gigante di Mountain View.

E, novella cassandra, a distanza di due anni si presenta **ESATTAMENTE il caso che avevo profetizzato**. Un attivista di progetti Open Source per la tutela della riservatezza delle conversazioni online, membro anche del Team di Sviluppo di [TOR](http://torproject.org) , il buon [Jacob Appelbaum][apple] si ritrova tracciato dal Dipartimento di Giustizia **senza alcun ordine di un giudice** e, soprattutto, **senza che all’interessato fosse notificato**. L’ordinanza segreta, datata al gennaio del 2011, chiede a Google di consegnare la lista di tutti gli indirizzi IP collegati all’account Gmail (non il contenuto, anche se sarebbe stato interessante vedere come avrebbe reagito G).

Sull’argomento [Il Post][post] offre un approfondito e interessantissimo [articolo][post] pieno di dettagli e di una completa cronistoria che vale sicuramente la pena di [leggere per intero][post].

Il Post si limita a considerare i risvolti della vicenda da un punto di vista principalmente legato al mercato americano, chiudendo con la considerazione:

> Nel 2009, Google svelò che in sei mesi il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti gli aveva chiesto 4.601 volte di accedere ai dati dei suoi utenti, e che il provider aveva dovuto acconsentire nel 94% dei casi.

Ma il buon [Mantellini][mante] si sbilancia un po’ di più con un post più rivelatore *(grassetto mio)*:

> Mi corre l’obbligo di segnalarvi che se le autorità americane avessero qualche curiosità sulla vostra casella Gmail, sui vostri contatti epistolari e sulle vostre navigazioni sul web, **Google molto probabilmente acconsentirà a comunicarglieli senza che voi siate nemmeno informati e senza che un magistrato firmi alcunché al riguardo**, come è avvenuto nel caso dell’attivista di Tor e Wikileaks Jacob Appelbaum. Nella seconda metà del 2010 è del resto accaduto 4601 volte, nel 95% dei casi Google ha detto sì alle autorità americane. Ma non solo: **nel medesimo periodo ci sono state 837 richieste analoghe dall’Italia. Nel 60% dei casi Google ha fornito i dati richiesti**.

Due annotazioni, quindi:

* Google collabora nel 95% dei casi con le autorità americane, ma solo nel 60% con quelle italiane
* Se avete le vostre mail su Google sappiate che la tutela italiana (con ordine di un magistrato) non conta nulla e che potreste essere sottoposti a controllo senza che nemmeno lo sappiate

Ora, sono ben conscio del fatto che per me, voi, Mantellini e forse anche il direttore de Il Post questo non costituisca un grandissimo problema, ma la cosa cambia radicalmente **se siete una ONG o una Associazioni Umanitaria** soprattutto una di quelle che si batte per i diritti umani e che si trova a dover gestire, coordinare o anche solo proteggere collaboratori ed informatori. In questo caso sappiate che qualunque azione potreste intraprendere nel mondo sareste soggetti a controllo segreto e senza tutela da parte del Dipartimento di Stato americano. Voi e tutti i vostri collaboratori (e potenzialmente informatori) in tutto il mondo. **Senza tutela di qualunque tipo.**

Pensateci, prima di usare di vedere *”una serie di esempi pratici dell’utilizzo dei Google tools per potenziare la comunicazione online esterna ed interna delle Associazioni”* che Google vi propone. Ma pensateci **seriamente**.

Ora rimane solo da capire se mi fermeranno alla frontiera, visto che eravamo ambedue random-contributors per il progetto [GlobaLeaks](http://globaleaks.org). Non sarebbe [la prima volta](http://news.cnet.com/8301-27080_3-20023341-245.html) che accade a persone presenti nella sua contact list.

Estote Parati.

[telarco]: http://www.telefonoarcobaleno.org/
[apple]: http://en.wikipedia.org/wiki/Jacob_Appelbaum
[post]: http://www.ilpost.it/2011/10/10/la-polizia-americana-e-le-caselle-email/
[mante]: http://www.mantellini.it/?p=15747

l'autore

Matteo Flora

Mi chiamo Matteo Flora, sono imprenditore seriale, docente universitario e keynote panelist e divulgatore. Mi occupo di cambiare i comportamenti delle persone usando i dati.
Puoi trovare informazioni su di me ed i miei contatti sul mio sito personale, compresi i link a tutti i social, mentre qui mi limito a raccogliere da oltre quattro lustri i miei pensieri sparsi.
Buona lettura.

di Matteo Flora

Matteo Flora

Mi chiamo Matteo Flora, sono imprenditore seriale, docente universitario e keynote panelist e divulgatore. Mi occupo di cambiare i comportamenti delle persone usando i dati.
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